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Don Secondo Nisini(1931). (Testo conservato nell’archvio parrocchiale).
La Ven. chiesa di S. Vittore Martire, eretta nel punto centrale e più elevato del paese, anticamente chiamato Valeriano, quantunque priva di precise notizie storiche, in base alle quali stabilire l’epoca della sua origine, pur tuttavia, si può con sicurezza affermare, che essa, contrariamente a quanto si è sino ad oggi creduto, venne costruita vari secoli avanti al 1500.
Una pittura a guazzo, che trovavasi sullo sfondo del muro a Cornu Evangelii, dov’è presentemente il confessionale, che si diceva opera del primo ottocento: la forma degli altari laterali in numero di dodici, tutti scavati nel muro, aventi lo spessore d’un metro, e non più di un metro e venticinque centimetri di lunghezza: una memoria che trovasi nei libri delle decisioni consigliari, relativa alla costruzione del nuovo battistero (l’attuale) eseguita nel 1450, del seguente tenore:
Cum vasculum lapidem ex quo baptizantur parvuli in Ecclesia S. Victoris Martyris sit vetustate undequaque corrusum, novum faciendum est et cum faciendum sit, sit bene lavoratum etc., confermano chiaramente la remota antichità della Chiesa.
Il fatto che la vasca di pietra, era per la sua vetustà tutta corrosa <<undequaque corrusum>> indica in modo indubbio, che per ridursi in tale stato, dovevano essere decorsi, dalla sua costruzione, alquanti secoli.
La chiesa presentemente è priva di facciata, ma all’origine l’aveva ed era dalla parte occidentale, con un’unica porta d’ingresso. Verso la fine del secolo XIV, per aggiungere alla chiesa qualche metro di lunghezza e costruire un’angusta residenza al Parroco, la facciata fu demolita.
La nuova porta d’ingresso fu aperta dalla parte di mezzogiorno, e precisamente nel muro aggiunto, ciò che avvenne nel 1497, come rilevasi dall’iscrizione incisa sull’architrave della porta.
Tale trasformazione e tutte le successive innovazioni vennero a togliere alla chiesa la sua primitiva struttura. E furono tali e tante le innovazioni in essa operate, da indurre l’Ordinario a dichiarare la Chiesa come non più consacrata, sopprimendone la commemorazione dell’anniversario, che cadeva il 4 ottobre.
Il disegno della chiesa non appartiene ad alcun ordine architettonico, avendo tutte le pareti liscie. E’ in forma rettangolare. Come si è detto, lungo le pareti laterlai erano 12 piccoli altari scavati nel muro e disposti senza alcuna simmetria. Ogni altare aveva una pittura in affresco od a guazzo.
Furono tutti demoliti in seguito ad un decreto del Vescovo Diocesano Lanucci in data 31 maggio 1759. In loro sostituzione furono eretti i 4 attuali, a spese dei rispettivi Patroni.
Oltre i dodici altari laterali, eravi anche l’Altare Maggiore di cui s’ignora la forma. Egli è certo però che non era stabile, come si apprende dal processo verbale d’una Congragazione della Ven. Confraternita del SS. Sacramento in data 4 Luglio 1762. E fu verso il 1771 che detta Confraternita, provvide ad erigere quello attuale, tutto in marmo.
La chiesa non aveva finestra, ma delle piccole aperture a forma di feritoie. La luce entrava nel tempio attraverso due grandi finestroni di forma rotonda, uno situato al di sopra della Tribuna e l’altro sopra la porta d’ingresso.
Demolita, come si è detto, per il prolungamento della chiesa, l’entrata dalla parte di occidente e conseguentemente chiuso il sovrastante finestrone, la chiesa rimaneva poveramente illuminata, ciò che indusse il nominato Mons. Lanucci ad ordinare, con lo stesso decreto del 31 maggio 1759, di ingrandire le feritoie, dandole la forma di vere finestre.
Purtroppo l’ingrandimento venne eseguito tutt’altro che a seconda delle più elementari regole d’arte, essendo le finestre diverse le une dalle altre, sia nella forma, che nella grandezza, distanza ecc.
La primitiva forma dell’esterno della chiesa può osservarsi nel Trittico, che si conserva nella Chiesa Collegiata di S. Andrea Apostolo, pregevole lavoro del pittore Carlo da Viterbo, eseguito nell’anno 1478. In esso sono dipinti le immagini di Maria SS. Assunta in Cielo, di S. Andrea Ap. e di S. Vittore Martire, il quale regge in mano il paese, alla cui sommintà spicca ben chiaramente la chiesa, avente la porta d’ingresso dalla parte occidentale, con sopra il finestrone di forma rotonda (attualmente il Trittico è conservato nel museo diocesano di Orte, ndr).
Il soffitto è a lacunari in numero di 116, di forma ottagonale, adorni in fondo di fiore stilizzato a rilievo e dipinto in azzurro cupo. Al centro vi è un grande quadrato con in mezzo, a rilievo, un bel giglio coronato, che rappresenta lo stemma del Comune. Sino al 1864 al posto del giglio, eravi una pittura a guazzo rappresentante il S. Patrono.
La costruzione del soffitto fu ordinata dalla stesso Mons. Lanucci, con il più volte ricordato decreto del 31 maggio 1759, così formulato: Avendo una particolare dovozione al glorioso S. Vittore M. insigne protettore di questa terra, desideriamo il decoro della sua chiesa con farsi il soffitto e le finestre ad uso moderno per renderla luminosa.
Il soffitto fu costruito dal falegname Mastro Domenico Ercole di Viterbo nell’anno 1762 e le decorazioni furono eseguite da un pittore di cui s’ignora il nome. La spesa per la sua costruzione, decorazione ecc. fu di scudi 397, che venne pagata dalla Confraternita del SS. Sacramento.
Il soffitto finemente lavorato, è servito di modello a quello della sala del Mappamondo nel Palazzo Venezia di Roma.
La torre campanaria di forma quadrata alta metri 27,50 di ottimo gusto, sebbene antichissima, è di epoca molto posteriore alla chiesa, avendo l’architetto usufruito nella costruzione delle preesistenti mura della chiesa, come ben chiaramente rilevasi dall’interno della torre stessa, osservando lo squarcio che mostrano gli angoli del nuovo e vecchio muro.
La torre è composta di tre piani, aventi ognuno quattro grandi finestrali. All’origine ne aveva ancora un quarto sormontato da svelta piramide, l’una e l’altro demoliti nel 1604, perché la torre sin dal 1569 minacciava cadere.
Sulla parte prospiciente il mezzogiorno, v’è una piccola pietra con sopra incisavi un’epigrafe, che sino ad oggi non è stata decifrata, neppure da valenti archeologi. Anche al concittadino Francesco Orioli, che fu archeologo insigne, non fu possibile interpretare.
Il coro tutto di noce ad un solo stallo, disposto a semicerchio attorno all’Altare maggiore lungo la linea segnata dal Cappellone, fu costruito nel 1751. Il preesistente era tutto di travertino, che certamente per la durata avrebbe sfidata l’opera deleteria del tempo, se varie considerazioni, tra cui quella d’igiene, non avessero indotto gli amministratori della Conf. del SS. Sacramento, a rimuoverlo.
L’organo di suono dolcissimo, fu costruito nel 1750 dall’organaro Lorenzo Alari di Roma, in sostituzione del precedente, che per la sua lunga antichità era ridotto in pessimo stato, da non permettere riparazioni di sorta. La mostra dell’organo, piccola di mole, ma graziosissima nella semplicità della forma, rimonta ad epoca remotissima. L’organo, come la cantoria, furono costruiti a spese della Confraternita del SS. Sacramento.
Nel 1853, in occasione della S. Visita Mons. Agostino Mengacci, Vescovo diocesano, espresse il parere ed il desiderio di consacrare nuovamente la chiesa. Dopo sormontate alcune difficoltà con l’autorità Comunale, Patrona della chiesa, il 21 agosto di detto anno, ebbe luogo la cerimonia della dedica sia del Tempio che dell’Altare Maggiore, ove in tubi di stagno furono collocate le reliquie dei Santi e la seguente scrittura:
ANNO MDCCCLIII DIE XXI MENSIS AUGUSTI.
Ego Mathias Augustinus Mengacci Vadensis Episcopus Civitatis Castellanae Hortanae et Gallesinae consecravi Ecclesiam et Altare hoc in honorem S. Victoris M. et reliquias Sanctorum Joachim Patris B.M.V., Joannis Baptistae Proe.ris D.ni, Andreae Ap., Victoris, Sebastiani, Felicis Martyrum, nec non S. Vincentii Ferreri Confessoris in eo inclusi et singulis Christi fidelibus hodie annum unum et in die anniversario consecrationis hujusmodi ipsam visitantibus quadraginta dies de vera indulgentia in forma Ecclesiae consueta concessi.
L’avvenuta consacrazione è ricordata da un’epigrafe incisa sul marmo, posta al di sotto della Cantoria, così concepita:
DEO MAGNO AETERNO
QUOD EJUS FAVENTE NUMINE
MATHIAS AUGUSTINUS MENGACCI
DOMO VADENSIS
ECCLESIARUM FASCENNINAE HORTANAE GALESINAE
ANTISTES
ECCLESIAM DIVO VICOTORI M. DICTAM
XII KAL. SEPTEMBRIS
ANNO MDCCCLIII
CONSECRAVERIT
ILLAMQUE IN ANNIVERSARIO VISITANTIBUS
DIES XL DE VERA INDULGENTIA
CONCESSERIT
POPULUS
PATRONO SUO
MONUMENTUM FACIENDUM CURAVIT
Gli affreschi dell’abside, in verità di poco pregio, raffiguranti l’incoronazione di Maria SS. Ma, i quattro evangelisti e i XII apostoli, erano stati ricoperti di intonaco. E fu tra il 1859 e il 1860 che vennero casualmente scoperti nel forar che si fece il muro con un chiodo, allorquando s’innalzava l’altare per la novena di S. Giuseppe, la di cui festa si celebra con grande solennità.
Tolto, ma con poca abilità, l’intonaco, apparendo le pitture molto deteriorate, s’imponeva la necessità di farle restaurare. E siccome anche la chiesa aveva urgente bisogno di riparazioni, essendo le pareti, gli altari tutti malandati e il soffitto annerito dal fumo, la deputazione della festa del Patrono nell’anno 1865, col consenso dell’Autorità Ecclesiastica e Comunale, assunse l’onere di far eseguire in detto anno i restauri necessari, affidandone l’incarico ad un tal Angelo Barilatti Bolognese residente a Narni, il quale nel modo addirittura antiartistico cui eseguì i lavori, non concorse davvero a dare alla chiesa maggior pregio e decoro.
Intanto con il decorrere degli anni, per la poca cura di chi ne aveva la direzione (noncuranza questa in gran parte dipesa dal fatto che i Parroci, sempre con il titolo di Economi, ne occupavano il posto per brevissimo tempo, succedendosi gli uni agli altri con una frequenza addirittura incredibile, tanto che nel corso di un trentennio se ne contavano una dozzina), la chiesa andava giornalmente sempre più rovinando, da ridursi in uno stato del tutto indecente per il culto divino, ciò che indusse il compianto Mons. Giacomo Ales. Ghezzi, Vescovo Diocesano, nella visita Pastorale tenuta nel settembre 1916, ad ordinare i restauri, da eseguirsi nel più breve tempo possibile.
Ma dove trovare i fondi necessari? Egli è vero, che essendo la chiesa di Jus Patronatus del Comune, a questo e non ad altri apparteneva l’obbligo di restaurarla. Ma purtroppo le sue magre finanze, né allora, né in seguito, gli avrebbero mai permesso di sostenere la spesa, tutt’altro che indifferente.
Non restava quindi che rivolgersi alla carità dei fedeli. Ma terribile infieriva allora la guerra Europea. Tutte le famiglie trepidavano per la sorte dei loro cari chiamati sui campi di battaglia alla difesa della Patria. Non era quello davvero il momento più opportuno per invocare da essi l’obolo della Carità Cristiana.
Ma come Dio volle, cessò la guerra immane e fortunatamente con la vittoria degli Eserciti Alleati. Tornarono i soldati dal fronte, era quindi giunto il momento di richiamare l’attenzione dei fedeli sullo stato miserando cui era ridotta la Chiesa del S. Patrono, e conseguentemente la necessità di provvedere a restaurarla. E fu nel settembre del 1920, che chi scrive queste brevi note, decise di aprire una pubblica sottoscrizione,che diede un'ottimo ed insperato risultato specialmente per le cospicue offerte delle primarie famiglie del paese.
I lavori di restauro riguardanti le stuccature, come le decorazioni, furono affidate al Prof. Ercole Aloysi distinto pittore Romano, che iniziati nella seconda quindicina di gennaio 1921, li condusse felicemente a termine nel mese di novembre dello stesso anno.
L’Aloysi ritoccò in modo veramente ammirabile il soffitto, facendovi scomparire quell’ammasso di vivaci colori buttàtivi sopra senza alcun criterio artistico dal Bolognese Barilatti, ridonandogli così quel primitivo aspetto d’antichità che aveva perduto.
Il pavimento tutto di marmette di cemento, fu eseguito dalla Ditta Giacomo Barelli di Viterbo. I gradini di marmo della Balaustra, in sostituzione dei precedenti di peperino furono lavorati e messi in opera dal marmista Luigi Paccosi parimenti di Viterbo.
La porta della sagrestia, che prima dei restauri trovavasi al di fuori della Balaustra, è stata aperta nel punto attuale, per rendere più facile al Clero l’accesso all’altare maggiore.
Durante i lavori di restauro, fu ventilata l’idea di erigere una cappella a forma di grotta in onore della madonna di Lourdes, dedicandola alla memoria dei soldati Valleranesi caduti in guerra. L’idea era troppo bella, perché dovesse essere scartata. La ristrettezza però della chiesa, ne impediva purtroppo l’attuazione. Dopo lungo riflettere si pensò di usufruire parte del locale della vecchia sagrestia, sottostante alla Casa canonica. Espostone il progetto a Mons. Goffredo Zaccherini vescovo d’allora, ed avutone il permesso, in breve volgere di tempo la Cappella era un fatto compiuto.
Il lavoro eseguito dallo stesso Prof. Aloysi è riuscito a meraviglia. E’ una piccola riproduzione della grotta, ove la Bianca Regina dei Pirenei, apparve alla piccola Bernardetta.
Le oscure pareti, chiazzate di verde, la disposizione dei sassi a forma di stalattite attorno ed alla base della grotta, l’acqua che scaturisce ai piedi della statua della madonna, il tutto illuminato da una tenue luce penetrante da una feritoia dal lato nord, dà al visitatore una soave mistica impressione, che lo induce ad innalzare alla Vergine una fervida preghiera.
La cappella fu solennemente inaugurata l’11 febbraio 1922, giorno commemorativo della prima apparizione della Vergine Immacolata.
Nel febbraio 1924, sopra la porticina che immette nella cappella, fu applicata una lastra di marmo con incisavi sopra la seguente epigrafe:
CIVIBUS NOSTRI
RECENTI BELLO PRO PATRIA INTEREMPTIS
DIVINAE CLEMENTIAE ET COMUNI PIETATI COMMENDANDIS
ANNO 1924
D’allora in poi ogni anno nella seconda domenica di febbraio, si celebra con grande solennità la festa della Madonna di Lourdes. E’ sempre preceduta da un Triduo predicato ed il giorno della festa vi è la Commemorazione Generale in suffragio dei cittadini caduti in guerra.
Nle 1° e 2° venerdì d’ogni mese, nella cappella si celebra la Santa Messa per i medesimi caduti, conforme la pia fondazione eretta dalle loro famiglie in data 12 ottobre 1923.
Delle varie pitture ad olio, che è dato osservare nei singoli altari, degna di nota è quella dell’altare Maggiore, rappresentante Maria SS.ma con il Bambino, il Patrono S. Vittore Martire, e il comprotettore S. Sebastiano Martire.
La pittura fu eseguita in Ronciglione dal pittore Francesco Ricci. La spesa pagata dalla Conf. del SS. Sacramento per tale lavoro, fu di scudi 32,90, compresovi il costo del telaio ed il compenso corrisposto a sei uomini per portare il quadro da Ronciglione a Vallerano.
Meritevole ancora d’essere ricordata è la pittura che trovasi nel primo altare a destra vicino alla porta maggiore. Vi sono raffigurati in alto, la Vergina SS.ma che regge tra le braccia il S. Bambino, in basso a sinistra è l’immagine di S. Andrea con la caratteristica croce, a destra S. Gregorio Magno presso cui vola la mistica colomba e S. Nicola da Bari che indica la Vergine a S. Lucia. A destra in basso, il quadro porta la firma dell’autore e la data: Io: Franc.us Vandius Inv-: Ann: 1647. E’ lo stesso Vandi di Siena che arricchì dei suoi pregevoli affreschi la Tribuna del Santuario di Maria SS. Del Ruscello.
La chiesa possiede ancora altre pitture su tela, che per la mancanza di spazio sono state portate nell’Oratorio della Ven. Confraternita del SS.mo Rosario. In una di esse, sono raffigurate le immagini di Maria SS.ma Addolorata col Cristo morto, della Maddalena, di S. Giovanni Evangelista, di S. Giovanni Battista e di S. Girolamo. E’ una copia di un originale seicentesco eseguita discretamente bene nel secolo XVII.
In un’altra tela è raffigurata la S. Famiglia e si ritrova in cattivo stato. In essa vi è anche l’immagine di S. Rocco che ha i tratti di un donatore. Questo lavoro è stato eseguito verso la fine del cinquecento.
Nella terza tela vi è raffigurata la Pietà con S. Ambrogio e S. Maria Maddalena. E’ opera del XVI secolo.
Il battistero che come si è detto da principio, fu costruito nel 1450, è di peperino. Sulla sua larga base a forma triangolare s’eleva svelto il pilastrino adorno di rilievi vari. Lo racchiude un artistico e grazioso cancelletto di ferro battuto, adorno di gigli e della figura di S. Vittore. E’ della stessa epoca del Battistero.
La chiesa infine possiede un ricco reliquiario a forma di urna, ove si vede una testa d’argento balzato, ricoperto d’elmo dorato. Nella visiera dell’elmo c’è scritto: Ex dono Iohannis Ianni 1752.
L’urna settecentesca è di legno dorato, con teste di Cherubini e con volute ricchissime. Porta l’arma della famiglia Floridi.
Il Battistero, con il suo cancelletto, l’urna e tutte le pitture sopra descritte, come il soffitto della chiesa, sono stati elencati, per la dovuta conservazione, dalla Soprintendenza alle Gallerie ed alle opere d’arte mediovali e moderne del Lazio.
Nel chiudere queste brevissime notizie, si crede opportuno ricordare, che il popolo di Vallerano, fin da tempo immemorabile, nutre una speciale devozione verso il suo Patrono, di questo giovane soldato della Cilicia, che conseguì la palma del martirio sotto l’imperatore Marco Aurelio Antonino.
Undici furono i martirî, che gli vennero inflitti dall’empio Sebastiano, governatore dell’Egitto e della Siria. Da principio gli furono slogate tutte le dita delle mani, indi per tre giorni continui, fu chiuso entro fornace ardente, donde ne uscì incolume fiorente di più balda giovinezza. Per due volte gli fu dato a mangiare del cibo contenente potentissiomo veleno, senza che ne risentisse danno alcuno, ciò che indusse il Mago, che quei veleni aveva preparati, ad abbandonare la sua diabolica arte, bruciando tutti i libri di magia, ed abbracciare la Religione di Cristo.
Ma questi non furono che l’inizio dei tormenti che il crudele Sebastiano, teneva riservati per il giovane soldato.
Dopo aver tentato di nuovo, ma inutilmente, a persuadere Vittore a rinunziare alla fede di Cristo, bruciando l’incenso alle divinità pagane, ordinò che gli fossero tagliati tutti i nervi, e che sospeso sull’eculeo, sopra le sue nude carni fosse versato olio bollente, e gli venissero bruciate con ardentissime faci.
Ma tali tormenti, anziché scuotere ed indebolire la fede del martire, altro non facevano che irrobustirla, ciò che maggiormente irritava l’iniquo tiranno, il quale ordinò ai suoi degni satelliti, di far colare entro la gola di Vittore calce viva sciolta nell’aceto, e che con acutissime spine gli fossero accecati e quindi cavati gli occhi. Ma Sebastiano, visto che tante sevizie non erano capaci di indurre il seguace del Divin Nazareno alla rinuncia della sua fede, non potendolo sopportare più a lungo, ricorse ad altri più atroci tormenti. Ordinò che venisse sospeso dall’alto con il capo all’ingiù, e così restasse per tre giorni continui, sperando che in tale situazione restasse soffocato dall’afflusso del sangue. Trascorsi i tre giorni, i soldati che andarono a vederlo nella certezza di trovarlo morto, appena giunti sul luogo del supplizio, restarono ciechi, e solo potettero riacquistare la vista, dopo che il S. Martire ebbe innalzato a Dio una fervida prece.
Sempre più inferocito Sebastiano di fronte ai meravigliosi prodigi che accompagnavano i tormenti ch’egli infliggeva al Martire, ordinò che venisse scorticato e che se avesse resistito anche a tale tormento, lo si decapitasse. E con questo ultimo martirio, cioè con la decapitazione, l'eroico martire, dopo aver predette varie cose al popolo presente, appena ventenne, chiuse la sua vita terrena coì piena di fede e d’invitta costanza.
Dell’Inclito suo patrono, Vallerano possiede l’insigne reliquia d’un dito, donatagli da Otricoli, che ha la bella sorte di conservare il corpo del S. Martire. La reliquia che Vallerano domandava da tanto tempo, ma sempre invano, gli venne finalmente donata il 6 giugno 1606, in occasione di un pellegrinaggio che Otricoli fece alla Madonna SS.ma del Ruscello, la quale appena due anni innanzi, aveva operato il noto e strepitoso miracolo, che diede origine al magnifico e splendido Santuario, così ricco di pregievolissime opere d’arte.
La festa del Santo cade il giorno 14 maggio. Sino al 1920, la così detta festa popolare, ricca sempre di numerosi divertimenti, aveva luogo nella 3^ domenica di detto mese. Dal 1921, da quando cioè la chiesa fu restaurata, per le mutate condizioni di tempi, e per altre varie considerazioni, non ultima quella d’indole finanziaria, in quanto che nel mese di Maggio più sensibile si rende il disagio economico, la festa si celebra entro la prima decade di Settembre, con un’affluenza straordinaria di forestieri, provenienti dai numerosissimi paesi della provincia di Viterbo.
Vallerano ha sempre solennizzato la festa del suo Santo patrono. A tale scopo fin da prima del 1571 fu eretta una Compagnia, con il nome di S. Vittore M.
Numerosissimi erano gli appartenenti ad essa. Ogni Confratello si obbligava a dare al momento della raccolta un quartuccio di grano. Alla vigilia della festa, sia a pranzo che a cena, ogni Confratello riceveva tre belle pagnotte, una minestra ed una porzione di pesce. Così nel giorno della festa e al mattino del giorno successivo. In detti due giorni però, invece del pesce si passava una porzione di carne.
Le refezioni, o meglio Pacchie come essi chiamavano, avevano luogo nella stanza posta sopra il palazzo del Podestà, situato nella Parrocchia di S. Andrea Apostolo, che dicevasi donato dalla munificenza dei Duchi di Farnese.
La Compagnia nel dì della festa aveva l’obbligo di mandare una pagnotta, pesce e carne a tutti i Sacerdoti, Chierici, al Podestà, ai Priori e a tutti gli Ufficiali della Comunità. Da qui l’origine della distribuzione del pane sopra ricordata.
Durante la festa avevano luogo solenni funzioni religiose. I divertimenti popolari consistevano in corse, lotte, ecc.
Vi era anche un po’ di musica eseguita dai così detti Biferari, che ricevevano un compenso di scudi 3. Come si vede a quei tempi, la musica era molto a buon mercato!
Nel 1779 il Vescovo Diocesano Mons. Francesco Maria Forlani, avendo notato che la Compagnia era poco frequentata dai Confratelli, molti dei quali non davano più la dovuta elemosina, e che la così dette Pacchie, davano spesso luogo a degl’inconvenienti, con decreto del 30 Settembre di detto anno, soppresse la Compagnia, insieme ad altre due, dell’Assunta e di S. Sebastiano, ordinando che con le loro rendite si fondasse un’Opera Pia a vantaggio dei poveri, col dare a ciascuno di essi, nel giorno della festa del S. Patrono, una elemosina.
La soppressione di dette Compagnie, i cui beni nel 1783 furono incorporati a quelli della Ven. Conf. del SS.mo Sacramento, diede origine all’erezione dell’attuale ospedale. Infatti la Conf. del SS.mo Sacramento, che manteneva già un’ospizio dei poveri pellegrini, chiamato di S. Lucia, il di cui fabbricato trovavasi in contrada il Poggiolo, demolito nel 1920 pr la correzione della strada provinciale Vallerano-Canepina-Viterbo, dopo qualche anno dacché era andata in possesso dell’anzidette rendite, pensò bene di sopprimere l’ospizio ed aprire un ospedale per i poveri infermi, ciò che fece nel 1788 usufruendo dei locali della vecchia Chiesa Camerale di S. Andrea Ap., locali che ebbe in enfiteusi dalla R. Camera Apostolica, per l’annuo canone di scudi uno.
Nel 1811 la Confr. credette opportuno separare la sua amministrazione da quella dell’ospedale, assegnando a questo la metà di tutti i suoi beni. Da quell’epoca l’ospedale ebbe la sua piena autonomia. Fin dall’origine fu sempre chiamato Ospedale di S. Lucia, oggi si chiama col nome di <<Augusto Ricciardi>>, per aver questi lasciato alla Congragazione di Carità il suo vistoso patrimonio.
Soppressa la Compagnia, Vallerano proseguì ed in modo sempre più solenne a festeggiare la ricorrenza del Santo Patrono, allargando la distribuzione del pane a tutte quante le famiglie.
Una deputazione composta di 10 capi famiglia, che ogni anno si estrae a sorte nella Chiesa del Patrono dopo la celebrazione della Messa solenne, assume l’incarico di raccogliere tra i fedeli le elemosine sia in natura che in denaro.
La spesa per il pane, è il primo articolo della parte passiva del Bilancio della festa. Una sua eventuale soppressione, o anche semplice riduzione, segnerebbe una sensibile diminuzione delle elemosine da parte dei fedeli i quali, e non a torto, tengono molto a mangiare durante la festa del Patrono, il pane benedetto, comunemente chiamato <<Pane di S. Vittore>>.
Accessibile a piedi o su ruota tramite strada asfaltata.
Parroco: Don Claudio Fune
Messa solo la prima domenica del mese alle ore 11.30
Pagina aggiornata il 09/12/2024